Mazzini vive Unità, libertà e Repubblica di Francesco Nucara Intervento di Francesco Nucara alla Manifestazione Nazionale"Giù le mani da Mazzini", Carrara 2 giugno 2010 Oggi, 2 giugno, è la festa della Repubblica. Quella Repubblica che, tutt’oggi, noi repubblicani non sentiamo interamente nostra. Basta leggere gli interventi dei costituenti repubblicani, per capire che il compromesso catto-comunista ci ha consegnato una Costituzione che non sembra nemmeno lontana parente dello Statuto della Repubblica Romana. E tuttavia meglio un presidente della Repubblica che un monarca, anche se nell’attuale situazione politica italiana corriamo il pericolo di ritrovarci sudditi di un re laico. I repubblicani hanno sempre aborrito i monarchi e, con altrettanta forza, contrasteranno qualsiasi forma di reame, anche fosse sotto sembianze repubblicane. Noi siamo qui a Carrara per festeggiare l’anniversario della nascita della Repubblica e per difendere la nostra storia, la storia dell’Unità d’Italia. E la festeggeremo anche per dare una risposta forte ai tanti deputati alla Salvini, della Lega, che affermano che non c’è nulla da festeggiare. Se questa Costituzione e queste ignobili leggi elettorali ci regalano questo tipo di deputati, è evidente che questa non è la nostra Repubblica. Perché Carrara? Un’iniziativa del Consiglio comunale, appoggiata fortemente dal Sindaco socialista Zubbani, aveva preso la decisione di spostare la statua di Mazzini e al suo posto collocarne, pro tempore, un di Bettino Craxi. Ora è nota la matrice marxista del socialismo italiano – ricordiamoci del Fronte popolare del ‘48 – come è altrettanto nota l’avversione di Mazzini a Marx. Se è vero che fino alla fine del ‘900 sembrava che le teorie di Marx potessero prevalere sui principi mazziniani, è altrettanto vero che il comunismo – figlio di Marx – ha dimostrato tutto il suo fallimento e che Mazzini e le sue teorie disvelano tutta la loro modernità di pensiero. La Biennale della Scultura che si tiene a Carrara, patria dell’anarchismo e del repubblicanesimo, mal si concilia con il raffinato critico d’arte che fu Giuseppe Mazzini. Nel 1841 scrisse un saggio in francese, "La peinture moderne en Italie", in cui tra l’altro affermava: "In pittura bisogna vedere" Figuriamoci dunque nella scultura. E vedere escrementi e diti medi fallici, non è un bel vedere. Avremmo preferito che Carrara esponesse il magnifico e impressionante ritratto di Mazzini morente eseguito da Silvestro Lega. Come è scritto su "La Repubblica" del 31 ottobre del 2005 (in un articolo che ne commemorava la nascita): "A differenza di altri padri della patria come Cavour, Garibaldi o Vittorio Emanuele II, Mazzini fu uomo di vasta e profonda cultura artistica, e nel suo utopico disegno politico reputava la pittura forte motivo di identità per gli italiani che si potevano riconoscere in una memoria storica comune". Chissà cosa avrebbe detto oggi di questa Biennale. Carrara, patria dell’anarchismo e del repubblicanesimo, ma anche del più becero fascismo. Quel fascismo i cui manipoli bruciarono la villa del nostro indimenticato Eugenio Chiesa costringendolo all’esilio e alla morte fuori dalla sua patria. E come non ricordare il messaggio del Chiesa agli elettori (1919): "Per instaurare l’era della pace, si può ben rappresentare il problema delle responsabilità del passato e nessuno deve rifuggirne, ma necessita soprattutto guardare in faccia quello che è il colossale problema dell’oggi e del domani …". Nell'oggi noi possiamo ringraziare il ministro Sandro Bondi che, sollecitato dal segretario nazionale del Pri, ha evitato una ferita che sarebbe rimasta per sempre un'onta per Carrara. E la giustificazione che si trattava solo di uno spostamento temporaneo della statua, è ancora peggio del danno che si andava a determinare. Mazzini non è fatto di cartapesta, che ad ogni carnevalata viareggina si può cambiare. I repubblicani non considerano l'apostolo dell'Unità d'Italia un'icona intoccabile. Essi credono che senza Mazzini e i suoi tanti discepoli, oggi noi non avremmo avuto l'opportunità di parlare in questa piazza; e non condividono nemmeno il titolo del libro di Sergio Luzzato: "La mummia della Repubblica - storia di Mazzini imbalsamato". Altro che mummia. Noi lo consideriamo vivo e vegeto con il suo pensiero trainante di cui ci nutriamo volentieri ancora oggi dopo oltre duecento anni dalla sua nascita. E che vigoria doveva avere questo pensiero, se ancora oggi se ne discute e ne discutono in tutto il mondo! Abbiamo la statua di Mazzini a Central Park (New York), ma qui a Cararra, dove forte batte il cuore di Chiesa e di Pacciardi, vorrebbero trattarla come un semplice fantoccio, probabilmente per obliare errori e misfatti. Così scriveva l'anarchico cattaneano Camillo Berneri nel 1934 dal suo esilio europeo, in piena polemica anti-mussoliniana: "La sua voce è ancora una colonna di fuoco, la si è udita fin nelle Indie e ora ci ritorna dall'Oriente.... L'apostolo profeta è una vivente Bibbia finché vive, un Cristo che continua a predicare dopo morto. I suoi errori sono un nonnulla poiché verità eterne li coprono con i loro raggi. L'apostolo profeta scrisse pagine che non muoiono. Va al di là del suo tempo, parla a tutti gli uomini della terra. E' vincitore perché è stato vinto...." E' per questo che noi repubblicani continuiamo a lottare fino in fondo, fino a quando una sola stilla di sangue repubblicano scorrerà nelle nostre vene. Non ci ha intimidito nessuno finora e non ci intimidirà nessuno in futuro. Il testimone di queste battaglie secolari è passato e passerà sempre nelle mani di giovani pronti a continuare una battaglia giusta. Così scriveva Mazzini su "Italia del popolo" di Genova nel 1857. "E' tempo di parlar chiaro. E' tempo che gli uomini i quali perseguono, attraverso tempeste, delusioni e inevitabili errori, un santo ideale, abbiano tutto il coraggio della loro fede; non tacciano, ma parlino alto e ardito; non si difendano, accusino. Vi sono disfatte che onorano; tentativi falliti che prenunziano l'avvenire più assai delle vittorie riportate dai poteri che sono. Apostoli militanti della grande idea nazionale, puri, poveri, rassegnati a una intera vita di persecuzione e sciagura, noi abbiamo diritto di dire a chi soggioga i nostri sforzi: Noi cadiamo per l'Italia; voi vincete contr'essa. Abbiamo diritto di dire a quei che accusano le nostre intenzioni: Voi calunniate. Abbiamo diritto di dire a quei che non facendo, non tentando, non consigliando mai nulla per la patria loro, biasimano sistematicamente chi tenta e cade tra via: Voi siete codardi. Ed io scrivo a dirlo avvenga che può". La codardia al dunque non ci appartiene. Talvolta siamo presi dall’avventatezza e dalla presunzione, ma i repubblicani non sono stati non sono e non saranno mai dei codardi. Anche se bisogna pur dire, per amore di verità, che non sempre hanno tenuto la barra dritta nelle loro scelte politiche, lasciandosi purtroppo prendere la mano da ambizioni personali. Se tra loro c’è stato Italo Balbo che da repubblicano diventò fascista abbiamo avuto tra di noi i Giovanni Conti e i Pacciardi e i Reale. La lotta politica, come ci ha insegnato Mazzini, non si esaurisce in un giorno o in un decennio e forse nemmeno in un secolo ma l’input dell’interesse armonico generale passa di mano in mano fin quando giustizia politica non si compirà. Come quel foglietto che Carducci vergò a mano, alla stazione di Bologna, per la morte di Mazzini e che passò di mano in mano per tutta l’Italia. Cosa scriveva Carducci? "Giuseppe Mazzini dopo quarant’anni d’esilio passa libero per terra italiana oggi che è morto o Italia quanta gloria e quanta bassezza e quanto debito per l’avvenire". Quel debito che Carrara avrebbe voluto disonorare ma che i repubblicani intendono pagare per intero ad un uomo che rimase esule in patria per aver rifiutato l’amnistia dei Savoia e per aver rifiutato per ben due volte l’elezione al parlamento sabaudo pur di non giurare fedeltà al re. Finiamo questa nostra manifestazione con l’epigrafe che Giovanni Bovio scrisse per Giuseppe Mazzini a Castelfidardo: "Giuseppe Mazzini, povero, contristato, schernito sognatore tollera questi onori postumi i soli consentiti dal destino ai maestri". Viva la Repubblica. Onore ai repubblicani di ieri, di oggi e di domani. Mi rivolgo ai giovani, e solo a loro, ricordando una parte del testamento morale di Mazzini: "So che ciò è segno di ingratitudine da parte mia e ne provo rimorso, ma mi accascio sotto il peso di un senso di isolamento che rende uggioso quest’ultimo periodo della mia vita. Questo mio stato d’animo, devo riconoscerlo, è parzialmente dovuto alla condizione morale o piuttosto immorale dell’Italia che è per me una delusione profonda. Cerco di rialzare i miei sentimenti con la vaga speranza che io possa ancora essere chiamato a spiegare la bandiera repubblicana e poi, come il corsaro Cooper, morire quando essa garrisce al vento". |